Sur: devastare il patrimonio culturale per raccogliere voti

Il sorriso si spegne, o si trasforma in una smorfia che tradisce tensione, quando chiedo ai tre giovani di fronte a me che cosa pensino di quel che è successo a Sur, il centro storico di Diyarbakir, negli ultimi anni. “Che cosa dobbiamo pensare? Non c’è nulla di positivo nella guerra”, dicono. E quando insisto a chiedere di chi è secondo loro la colpa, il giovane risponde vago “Di entrambe le parti”, mentre le due ragazze guardano altrove, visibilmente a disagio. Una delle due alla fine si sposta, uscendo dal campo della telecamera del telefonino. Non so come si chiamino, mi hanno detto che sono insegnanti, di filosofia, geografia e scienze sociali. Da qui, in cima alle mura bizantine dove ci siamo arrampicati, possono vedere dove si trovavano le loro case prima che lo Stato turco le radesse al suolo per fare spazio a un nuovo progetto di gentrification del quartiere.

Hanno paura di parlarne, ma in molti attribuiscono la colpa della distruzione a “entrambe le parti”: al Pkk per aver provocato lo Stato turco, fornendogli un pretesto per attaccare la città, e al governo per la sproporzionata reazione che ha portato, solo in questa zona, alla morte di più di 200 persone (secondo le cifre riportate dall’Ong International Crisis Group) e allo sfollamento di oltre 20 mila abitanti fra dicembre 2015 e marzo 2016.

Ero solita perdermi, là, in quelle viette che non esistono più, dove ora c’è il vuoto. Solo la settimana prima di questo mio ennesimo viaggio, il 15 e 16 marzo, ero a Parigi, alla sessione del Tribunale Permanente dei Popoli sulla Turchia e i Curdi, dove Ercan Ayboga spiegava che dopo le operazioni militari, il 21 marzo 2016, il governo turco ha deciso l’espropriazione di 6.292 lotti di terreno a Sur su un totale di 7.714. Ho incontrato per la prima volta Ercan nell’aprile 2015, il mio ultimo viaggio nella regione prima dell’apocalisse. All’epoca Diyarbakir sembrava un paradiso, e i suoi progetti, da impiegato comunale, includevano aree verdi e parchi intorno alla città. Tre anni dopo, Ercan vive in Germania e lotta da lontano per la conservazione di patrimoni culturali come il sito di Hasankeyf o la diffusione delle idee sul confederalismo democratico alla base della società del Rojava, il Kurdistan siriano.

Lo avvicino dopo la sua testimonianza di fronte al Tribunale. Si ricorda di me? Dopo aver rievocato la situazione in cui ci siamo conosciuti, ha un’illuminazione: “Eravate in due, ho anche detto qualche parola in francese”. Gli chiedo un’intervista per l’indomani, me la concede. Poco dopo le 9.30 siamo di fronte alla sala Eugène Hénaff della Borsa del Lavoro, a due passi da place de la République. Dopo settimane di gelo, oggi c’è un bel sole, nonostante l’orario mattutino i nostri giubbottini di pelle sono sufficienti a coprirci. “A Sur vivevano circa 50 mila persone – mi spiega -, l’antica struttura con le stradine strette si era conservata. La popolazione qui era ed è piuttosto all’opposizione, per cui lo Stato turco ha colto l’occasione del conflitto armato per realizzare l’obiettivo, espresso da tempo, di gentrificare l’area e renderla una zona commerciale. Durante gli scontri hanno usato tank, artiglieria e hanno distrutto passo dopo passo centinaia di edifici. Dopo il conflitto hanno proseguito in maniera molto più sistematica. Un anno dopo quasi 3.500 edifici erano stati distrutti nella parte est di Sur, dove sono avvenuti gli scontri, si tratta del 70-75 per cento della parte est di Sur. L’anno scorso hanno sfrattato gli abitanti di 800 edifici nel sud-ovest, dove non ci sono mai stati scontri. Era una zona povera. Gli sfratti erano basati su una decisione del governo di espropriare tutte le parti di Sur. Le distruzioni non hanno risparmiato edifici di valore storico e monumenti antichi fino a 2-3 mila anni. In totale lo Stato ha distrutto completamente – e di proposito – 89 edifici di valore storico, 40 sono stati distrutti parzialmente e 41 sono stati danneggiati. Si tratta del 40 per cento di tutti gli edifici storici di Sur. Fra di essi alcuni molto importanti, come la maggiore chiesa armena del Medio oriente, Surp Giragos; la moschea Kursunlu, molto famosa; una moschea chiamata Hasirli; la chiesa cattolica armena; e poi tombe e molti edifici a uso civile sono semplicemente spariti da questa zona”.

Quel che resta della chiesa cattolica armena
Quel che resta della chiesa cattolica armena (immagine mostrata alla sessione del Tribunale Permanente dei Popoli sulla Turchia e i Curdi. Parigi, 15 marzo 2018)

 

Una zona che solo pochi mesi prima degli scontri era stata inclusa nella lista del patrimonio culturale mondiale dell’Unesco. Ma i 195 stati membri dell’organizzazione non hanno mosso un dito né alzato la voce contro la distruzione del sito.

Torniamo allora a Diyarbakir, dove i tre giovani che fanno parte della popolazione sfrattata da Sur vivono ora nel quartiere di Baglar. Lo stesso, immenso quartiere dove ha la sua sede l’Hdp, il partito del carismatico Selahattin Demirtas, “lo Tsipras turco” o “l’Obama curdo”, come è stato soprannominato all’epoca dai media occidentali, oggi in carcere. E qui, con una delegazione di associazioni francesi, incontriamo Osman Baydemir, ex sindaco di Diyarbakir, che ci informa di essere appena caduto anche lui sotto la mannaia della giustizia turca: uno dei suoi processi si è concluso con la condanna a 18 mesi di carcere. Per ora è comunque libero di muoversi, pochi giorni dopo sarà a Parigi per una conferenza organizzata dall’Istituto curdo di Kendal Nezan. Anche con lui il discorso cade sulla distruzione di Sur. Ci parla della volontà da parte di Ankara di “modificare la demografia” della zona per ragioni politiche: “La maggior parte della popolazione di Sur sostiene l’Hdp”, conferma Baydemir, come già aveva accennato Ercan. Ora questa popolazione, ci spiega, è stata costretta ad abbandonare le proprie case all’improvviso, alcune persone senza nemmeno potersi mettere le scarpe prima di uscire. Sono previsti risarcimenti, ma, dice Baydemir, nessuno ha valutato il valore reale di queste abitazioni prima che fossero demolite, e di conseguenza nessuno degli ex abitanti di Sur è risarcito equamente. Ma dove sono finiti i 20 mila sfollati?, chiede uno dei presenti alla riunione. “La maggior parte nella città o nella provincia di Diyarbakir – è la risposta -, alcuni sono alloggiati da parenti, ma c’è anche chi si è trasferito a Urfa, Gaziantep, Batman, solo in alcuni rari casi sono emigrati nell’ovest della Turchia”.

Osman Baydemir
Osman Baydemir

Alla fine l’ex primo cittadino affronta anche la questione della gentrification dell’area: “L’obiettivo delle autorità è togliere i poveri per metterci i ricchi. I nuovi edifici che saranno costruiti non rispettano i principi della conservazione del patrimonio culturale, e solo i ricchi potranno permetterseli”. I ricchi, cioè gli elettori dell’Akp.

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