“L’altra volta non riuscivo a trovare il negozio. Ho cercato dappertutto, ho chiesto in giro…” “Ma non sei andato in taxi?” “No, no, l’indirizzo l’ho trovato subito, è il negozio… sono salito anche al primo piano”.
Gli aneddoti di Thierry sono sempre esilaranti, almeno per come li racconta lui. È vero che sulla carta – o sullo schermo – non sono la stessa cosa. Il negozio è quello di Ekojin, l’ultima cooperativa di donne sopravvissuta al conflitto tra Stato turco e guerriglia e all’occupazione di Diyarbakir da parte del governo centrale. E non è un caso se Thierry non riusciva a trovarlo: le sei donne che ne fanno parte hanno dovuto nascondersi per non vedersi confiscare tutto come è successo alle altre. Si sono così trasferite in un seminterrato pressoché invisibile.
Una di loro, Vahide, ci racconta la storia della cooperativa: è stata creata nel 2013 dal Movimento delle donne curde, come le altre distribuite in diverse città. Alcune di queste producevano e vendevano prodotti agricoli, altre, come Ekojin, abiti e accessori da donna. L’obiettivo era (e sarebbe tuttora, se non fosse l’unica cooperativa ancora in attività) di aiutare le donne a prendere in mano la loro vita, a partire da una certa indipendenza economica. Le donne producono e vendono i prodotti e poi si dividono il guadagno.
Ma che cosa è successo a tutte le altre cooperative? Dopo la devastazione seguita all’insperato risultato dell’Hdp, il partito filocurdo, alle elezioni del 2015, lo Stato ha preso possesso delle municipalità tagliando quindi i fondi a questo tipo di iniziative. Vahide spiega che prima i sindaci curdi sostenevano le cooperative occupandosi delle spese vive: affitto, acqua, luce… Ora questo baluardo solitario della resistenza femminile curda sopravvive solo – e a fatica – grazie alle vendite. E, naturalmente, non può nemmeno farsi pubblicità. È la stessa Vahide a pubblicare qualche post sui suoi profili social personali, per il resto l’attività funziona per passaparola. O grazie alla solidarietà internazionale.
Ma Vahide non perde il sorriso, e continua a lottare. Perché, come ha ricordato in mattinata il responsabile degli affari internazionali dell’Hdp Hisyar Ozsoy, se c’è una cosa che i curdi sanno fare bene è sopravvivere.