C’era una volta nella leggendaria Mesopotamia un tiranno crudele di nome Dehak, sotto il cui regno le terre erano diventate sterili e il sole era scomparso. Dehak nutriva i suoi serpenti con il cervello di ragazzini e ragazzine. Ma un giorno ne pretese uno di troppo: quello dell’ultima figlia rimasta a Kawa, il fabbro del villaggio. Kawa riuscì a raggirare Dehak offrendogli cervella di pecora. Lo stratagemma piacque agli altri abitanti del villaggio, che lo misero in pratica a loro volta. Con gli anni i ragazzi e le ragazze sottratti agli appetiti dei serpenti di Dehak crebbero e, addestrati da Kawa, formarono un esercito. Con esso, Kawa riuscì a uccidere il tiranno. Per annunciare la liberazione, accese un fuoco in cima alla montagna, che spinse gli abitanti tutt’intorno a imitarlo accendendo centinaia di fuochi per diffondere la buona novella. Il giorno dopo il sole, i fiori e la primavera tornarono in Mesopotamia.
Da questa leggenda nasce la grande festa di primavera celebrata in coincidenza con l’equinozio da numerosi popoli nella regione. La versione più famosa è sicuramente il Nawruz, o Capodanno persiano, festeggiato in Iran. In curdo la parola – che significa “nuovo giorno” – diventa Newroz, e non indica solo l’arrivo della bella stagione, ma rappresenta una dichiarazione politica di indipendenza.
E ancora una volta i curdi si sono radunati in occasione del Newroz. Una festa bella, colorata, frequentata da centinaia di migliaia di persone, ma decisamente sotto tono quest’anno a Diyarbakir, considerata la capitale del Kurdistan turco. Ce ne siamo resi conto fin dalle prime ore del mattino: una città immersa in una tranquillità irreale, poche canzoni, poca voglia di festeggiare e sicuramente tanta paura, dopo gli arresti, le uccisioni e le devastazioni lasciate nel centro storico della città dall’esercito tre anni fa, e con il clima di terrore che continua a gravare sul paese.
A parlare in questo senso sono anche i numeri: “Difficile fare stime precise, la gente va e viene al Newroz”, ci ha detto una fonte interna all’Hdp, il partito che organizza ogni anno le celebrazioni. “Si parla di 200-250 mila persone“. Poco più che bruscolini rispetto al milione o ai due milioni di presenze annunciate con grande enfasi (e presumibilmente qualche esagerazione) fino a un paio di anni fa. Anche le delegazioni dall’estero si sono ridotte: non più fra le 100 e le 200 persone, ma una sessantina o poco più. E tutte concentrate a Diyarbakir, mentre in passato venivano distribuite soprattutto nelle città più a rischio di disordini: Mus, Yuksekova, Gunaydin, Cizre…
Ma la più grossa delusione, per me personalmente, è stato il fatto di essere rinchiusa nella tribuna dei “vip”. I miei Newroz precedenti erano stati tutti vissuti in mezzo alla folla, a cantare, ballare, chiacchierare con i locali anche quando non si parlava nessuna lingua in comune, a ricoprirmi di fango e fare file interminabili per andare al bagno, dove tutte mi passavano davanti perché da un lato non mi riconoscevano come straniera, e quindi la loro leggendaria ospitalità non poteva applicarsi, e dall’altro non sapevo come difendermi perché non parlavo la lingua. Stavolta, dopo aver subito tre sessioni di controlli e perquisizioni, nelle quali mi sono state requisite le forbici e le spille da balia contenute nel kit di primo soccorso che avevo nello zainetto, mi sono ritrovata incredula in un ambiente pressoché asettico, seduta fra altri stranieri, Madri della Pace e politici di altissimo rango, come la co-leader dell’Hdp Pervin Buldan, freschissima di nomina, e l’ex sindaco di Mardin Ahmet Türk, figura leggendaria per i curdi.
Al culmine della noia, verso l’ora di pranzo (che abbiamo saltato), mentre stavo scrivendo distrattamente una mail, ho percepito del movimento, e mi sono accorta che diversi giovani avevano scavalcato i cancelli che ci separavano dalla “gente comune” e si erano riversati nel piazzale di fronte a noi. Molti hanno cominciato ad arrampicarsi per raggiungere o quanto meno avvicinarsi all’altissimo palco dove si erano succeduti i discorsi dei politici e dove stava suonando un gruppo locale. La pressione era tale che a un certo punto gli addetti alla sicurezza hanno preferito aprire i cancelli e lasciare entrare la gente. In un momento di esaltazione ho pensato di approfittarne per uscire e gettarmi fra la folla. L’ho proposto ai miei compagni di viaggio, ma Thierry ha sentenziato “più tardi”. È vero che forse non era facilissimo uscire dai cancelli, perché la maggior parte delle persone stava piuttosto pensando a entrare, ma qualcuno ci stava riuscendo, e volendo ci saremmo potuti riuscire anche noi. Ma non lo sapremo mai.
La festa comunque volgeva al termine. Dopo solo qualche minuto è stata annunciata la fine, e tutti hanno ripreso, pacificamente e con calma, la via del ritorno verso l’uscita.
In una precedente versione di questo post dicevo che non ci sono stati disordini di rilievo. L’indomani ho appreso invece di arresti di diverse persone nel corso del Newroz, il cui numero non è dato conoscere. In serata poi le forze dell’ordine hanno proceduto all’arresto di un’ottantina di persone, fra militanti e simpatizzanti dell’Hdp, fra cui una trentina di minori. Resta il fatto che lo Stato non ha nemmeno più bisogno di mostrare il pugno di ferro, a giudicare dallo stato d’animo che si percepisce: checché se ne dica, almeno questa battaglia l’ha vinta.
Poche ore dopo la fine delle celebrazioni, Cnn Türk mostrava in rapida successione un Erdogan sorridente che celebrava il “Navruz”, come lo chiamano in turco con un’operazione di falsificazione storica che dura ormai da molti anni (la prima volta che ho letto questa parola su un giornale turco doveva essere già il 2002), e un servizio intitolato “Afrin ritorna alla normalità”, mentre negli stessi minuti su Facebook il collega di Rai Sport Marco Fantasia mi chiedeva che cosa significasse il testo scritto su uno striscione apparso durante una partita di Champions League femminile di pallavolo che vedeva scontrarsi Galatasaray e Novara(*). Ho tradotto: “Da Gallipoli ad Afrin soldati e nazione mano nella mano”.
Proprio ieri Hisyar Ozsoy ci ricordava l’empia alleanza che Erdogan aveva stretto con i nazionalisti per non perdere il potere nel momento in cui aveva visto che non aveva più la maggioranza assoluta.
Kawa ha salvato la Mesopotamia dai serpenti, ma la sua statua è stata abbattuta ad Afrin dagli invasori. Chi salverà ora i curdi dai Lupi Grigi, serpenti che impongono sacrifici umani al tiranno per consentirgli di conservare il potere?
(*) Per la cronaca: il Galatasaray ha perso.