«30 anni dopo Halabja, vivo in Francia e sono felice»

Me e Hadar

Vive alla periferia di Lione, ama giocare a bowling e ascoltare Laura Pausini, dettaglio per il quale la prendo in giro, ma lei mi dice che adora il suono dell’italiano. E allora le ho promesso che le farò ascoltare musica italiana degna di questo nome.

Hadar ha lasciato il Kurdistan con la sua famiglia poco dopo il massacro di Halabja. Aveva quattro anni allora, e sostiene di non ricordare nulla di quell’epoca, ma quando le chiedo se le piacerebbe tornare a vivere nella sua terra d’origine, dice che il pensiero l’angoscia.

Era il 16 marzo di 30 anni fa, quando Saddam Hussein gasò la popolazione di Halabja. 5 mila persone rimasero uccise il giorno stesso, altre migliaia persero la vita successivamente per le conseguenze del gas, conseguenze che i sopravvissuti in molti casi subiscono ancora.

A Hadar e alla sua famiglia, che vivevano poco lontano da là, è andata bene. «Abbiamo trascorso un anno in un campo in Turchia con la mia famiglia – racconta – prima di poter raggiungere la Francia grazie alla carità di Danielle Mitterrand, colei che chiamiamo “la madre dei curdi”».

Hadar è la più francese, la più europea dei curdi che conosco. Non si occupa strettamente di politica, ma si interessa di tutto ciò che accade ai suoi fratelli e alle sue sorelle curde. È così che, in qualche modo, si è imbattuta nell’associazione Amitiés Kurdes de Lyon, di cui è diventata socia, e dove ci siamo conosciute. È un’amicizia particolare, la nostra, non in quanto tale, anzi, a dire il vero sarebbe molto comune, se non fosse che da una curda ci si aspetterebbe che leghi molto di più con altri curdi. E invece mi è capitato di essere io a invitarla a bere un tè con altri curdi, gente che conosce e apprezza, ma con cui ha un rapporto un po’ più distante. Quando ci vediamo, per una cena o una partita di laser game, è circondata da amici di nazionalità di una varietà impressionante: giapponesi, coreani, francesi di origini camerunensi, o semplici francesi di origini francesi… e naturalmente quell’insopportabile italiana inspiegabilmente ostile verso la Pausini. Un mosaico multicolore di un’allegria che rispecchia la sua incontenibile e contagiosa voglia di vivere.

Forte di questo nostro rapporto, mi sono permessa di chiederle una testimonianza in occasione dell’anniversario di Halabja. È una persona discreta, ma non è stato necessario insistere – e in ogni caso non l’avrei fatto, se non avesse voluto.

 

Oggi vivo in Francia, a Lione, e la mia famiglia vive a un’ora da casa mia. Lavoro in una ditta di trasporti e il mio lavoro mi piace.

Quando siamo arrivati in Francia abbiamo vissuto per nove anni nella regione dell’Alvernia, in un paese che si chiama Sainte Florine. Era piacevole vivere là, lontano dalla vita movimentata della città. Ricordo che non avendo le possibilità economiche di avere dei giocattoli, con i miei fratelli e cugini giocavamo a giochi come quello chiamato “le 7 pietre”. Mettevamo sette pietre piatte una sull’altra e formavamo due squadre. Bisognava  scagliare contro la colonna di pietre  una palla che avevamo confezionato apposta. Poi si doveva rincorrere l’altra squadra con la palla. Era troppo divertente. Conservo davvero dei bei ricordi di quell’epoca. E poi per vestirci c’era una signora gentile di nome Jeanine, e c’era Georges. Ci portavano spesso degli Smarties e dei vestiti di seconda mano. Grazie a loro avevamo dei dolci. Era davvero piacevole averli nelle nostre vite. Sarò loro eternamente grata e avranno sempre un posto nel mio cuore.

Oggi sogno di un Kurdistan in pace, non chiedo nemmeno l’indipendenza per il Kurdistan, solo la pace, che ci lascino vivere in pace, che la smettano di massacrare il mio popolo, e che l’Unione europea e gli Stati Uniti la smettano di rimanere sordi di fronte alle nostre rivendicazioni. Anziché svolgere il ruolo che spetta loro si lasciano influenzare dagli interessi politici che hanno rispetto alla Turchia. È davvero un peccato. Quando i curdi si battevano contro Daesh tutti ci appoggiavano perché avevamo un nemico comune, ma adesso che la Turchia attacca Afrin si resta muti e sordi. Lo stesso popolo che ha combattuto contro Daesh oggi è accusato di terrorismo. Che ironia. Come noi siamo fuggiti dal Kurdistan iracheno a causa dei gas chimici che Saddam Hussein lanciava su Halabja, oggi con la Turchia che attacca il Rojava non bisognerà stupirsi se ci sarà una nuova ondata migratoria. E non si dovrà accusarli di voler sfuggire al terrorismo di Erdogan perché la comunità internazionale non ha reagito, con l’eccezione di alcuni movimenti politici che però purtroppo non hanno il potere di cambiare le cose.

Per finire, ci tengo a dire che ce la si può fare anche quando si è immigrati, ci si integra bene se c’è la volontà. Oggi ho una vita felice, esco con gli amici, vado alle feste, imparo il coreano e la danza tahitiana (ride). Grazie alla Francia e a tutti coloro che ci hanno sostenuti e che ci hanno permesso di essere qui oggi.

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